08 novembre 2011

MAHAL



Una storia di ossessioni dalle atmosfere macabre, uno strano triangolo sentimentale nel quale tutti i personaggi compiono azioni orribili nei confronti della persona che dicono di amare, una soffocante catena di autodistruzioni dove l’unico vero colpevole resta impunito. Mahal, melodramma agitato e oscuro, è un film che appare molto più giovane della sua reale età anagrafica ( è stato girato nel 1949) l’ultimo prodotto della fabbrica dei sogni Bombay Talkies, già avviata verso un totale declino, e il primo successo del regista Kamal Amrohi (Pakeezah) conosciuto per la sua attrazione morbosa verso le suggestioni e il mistero.

TRAMA
Shankar (Ashok Kumar) acquista ad un’asta pubblica uno splendido palazzo abbandonato e scopre guardando un dipinto che il vecchio proprietario gli somigliava in modo impressionante. L’uomo, incuriosito dalla serie di coincidenze che lo legano alla residenza decide di non abbandonare il luogo e spera di poter avere contatti con il fantasma che lo abita, una ragazza meravigliosa (Madhubala) in cerca del suo amato.


Atmosfere da romanzo gotico, candelabri che oscillano, arredamenti coloniali, giardini moghul, twist imprevisti e una trama soddisfacente, Mahal è un triller che non incute timore ma crea tensione, attesa e sensazioni opposte di meraviglia e disagio, ricrea un mondo decadente e confuso i cui tratti sono cupi, spettrali, i profili maschili deboli e disorientati, i personaggi femminili forti ma contradditori e letali.
La mano di Kamal Amrohi si avverte dai dettagli, immagini che devono creare sospetto e suggerire che gli eventi non andranno nella direzione in cui la storia fino a quel punto sembra portarli. Una mobilissima cinepresa spazia tra gli ambienti, mostra Madhubala fluttuare, riprende foglie che danzano sul pavimento, si nasconde tra le fessure delle finestre, spia le reazioni dei personaggi e svanisce a comando. Le immagini sono macabre seppur deliziosamente eleganti tanto da sembrare scatti d’autore, se si bloccano per guardarle una ad una ci si rende conto della sofisticata ricercatezza della fotografia, della cura dei set e degli sfondi.
In Mahal vengono introdotti quelli che saranno motivi ricorrenti nella filmografia, breve ma intensa, di Amrohi: il destino come forza motrice degli eventi, le strane casualità, gli elementi della natura che prendono vita e veicolano premonizioni, gli amanti frustrati dagli insuccessi dei propri tentativi che fuggono in luoghi isolati, l’aristocrazia decadente e il paesaggio ostile, lunghi primi piani agli sguardi intensi degli interpreti, le esibizioni ammiccanti delle cortigiane. Kamal Amrohi, sempre enigmatico, tradisce il pubblico e continua a celare, sussurra all’orecchio per poi depistare, si ha sempre la sensazione che ci stia mostrando solo in parte e che aldilà di ciò che viene inquadrato ci sia molto di più da conoscere, ma ciò non ci è dato di fare.
Sovrannaturale o bluff? Reincarnazioni e spettri inquieti o fitti ricami tessuti dagli umani? Il film propone vari meccanismi in grado di plagiare e controllare la mente, dalla bellezza magnetica all’attrazione per il mistero, dalle tecniche per spingere qualcuno a compiere i gesti più assurdi o disperati. Si assiste ad una costruzione e sparizione dell’alter-ego del protagonista, uccisione anche fisica attraverso colpi di pistola sul dipinto che ricorda a Shekhar quello che lui vorrebbe essere ma non è e ciò che vorrebbe inseguire quando invece è imprigionato. La reclusione diviene un tema onnipresente, dalle mura del palazzo alla cella, dalla remota capanna montana alla gabbietta degli uccellini (immagine che diverrà il simbolo del suo capolavoro Pakeezah). La mancanza di libertà conduce a scelte ed azioni sbagliate, davanti a limiti Shekhar non sa se arrendersi e rinunciare alla sua (o sue) identità oppure perseverare nella ribellione ma cadere vittima dei desideri ossessivi.
Anche se il film mostra alcuni vuoti nella seconda parte e una sovrabbondanza di canzoni, la maestria del regista (e di un già promettente Bimal Roy , qui curatore del montaggio) traspare in ogni scena. La classe del protagonista Ashok Kumar e la bellezza di Madhubala sono abbaglianti e perfettamente catturate dalla pellicola in bianco e nero. Il brano “Aayega Aanewala” , richiamo attraverso la quale il fantasma comunica con il suo amato , ispirerà altri film dal tema fantasmi e vite precedenti come Madhumati e Neel Kamal ed ha lanciato come playback singer una giovanissima Lata Mangeshkar.


Il mio giudizio sul film : ***1/2  3,5 /5


ANNO : 1949

TRADUZIONE DEL TITOLO : Palazzo

REGIA : Kamal Amrohi


CAST :
Ashok Kumar ………………….. Shekhar
Madhubala ……………………. Kamini
Vijaylaxmi…………………………… Ranjani
Kanu Roy ………………………. Srinath


COLONNA SONORA : Kemchand Prakash
PLAYBACK SINGERS : Lata Mangeshkar, Rajkumari

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